Materie della mediazione

Oggi la mediazione è condizione di procedibilità (ovvero deve essere obbligatoriamente e preliminarmente tentata prima di poter andare in giudizio) nei casi di una controversia in materia di:

– diritti reali (proprietà, usufrutto, usucapione, compravendite immobiliari ecc.);
– divisione e successioni ereditarie;
– patti di famiglia;
– locazione e comodato;
– controversie commerciali fra aziende e fra consumatori e aziende;
– controversie con le pubbliche amministrazioni;
– affitto di aziende;
– risarcimento danni da responsabilità medica e sanitaria;
– diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità;
– contratti assicurativi, bancari e finanziari;
– condominio.

Esperire un tentativo di conciliazione è inoltre obbligatorio quando la mediazione è demandata da un giudice oppure quando è prevista da clausole contrattuali o statutarie (clausole compromissorie).
Gli stessi giudici possono, durante il giudizio ordinario in Tribunale, inviare le parti presso un organismo di mediazione ogni volta che ravvisino l’utilità di avviare un procedimento di mediazione fra le parti.
Ma al di là dei casi richiamati è sempre possibile esperire un tentativo di conciliazione tra le parti ogni qualvolta esse lo ritengano opportuno per evitare di iniziare un contenzioso giudiziario ed a prescindere dalla materia di cui trattasi.

L’unica condizione è che la mediazione abbia ad oggetto diritti disponibili.
Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’art. 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio (art. 8, comma 5, del D. Lgs: 28/2010 come modificato dalla L. 98/2013).

Inoltre, il giudice potrà valutare tale comportamento come violazione del dovere di lealtà e probità delle parti e condannarle alle spese, anche qualora risultassero vincitrici nel giudizio, ai sensi dell’art. 92 del codice di procedura civile.

Nei casi più gravi, il giudice potrebbe ravvisare nel comportamento non collaborativo delle parti mala fede o colpa grave, e sanzionarle ai sensi dell’art. 96 del codice di procedura civile condannandole anche al risarcimento del danno.

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